La giacca indossata per interpretare Domenico Modugno al Festival di Sanremo è solo un ricordo. Perché Beppe Fiorello al Festival Internazionale del Cinema di Frontiera si è presentato con magliettina bianca e infradito. Il celebre attore è infatti in zona per vacanza. E non si aspettava di dover partecipare al Festival. Tanto che, sul palcoscenico, si è scusato con il pubblico per l’abbigliamento. “Ma quando mi hanno chiesto di essere qui per l’omaggio a Modugno non potevo dire di no. Mi sento un suo parente stretto”.
E’ un legame insomma forte, autentico, quello che lega Beppe Fiorello al celebre cantautore, dopo averlo interpretato in “Volare – La grande storia di Domenico Modugno”, andata in onda lo scorso febbraio su Rai 1.
- Beppe, cosa hai scoperto di inedito su Domenico Modugno?
“Beh, per esempio, anche questo film, “Tutto è musica”, che non è una pellicola molto conosciuta o riproposta tante volte. Per Modugno fu una prova importante per dimostrare a se stesso e a tutti il suo amore sconfinato per il cinema. Tant’è che lui da ragazzo del Sud partì con la valigia e un sogno: quello di fare l’attore. Ma poi il destino lo portava sempre verso la musica e la canzone. Lui opponeva resistenza perché voleva fare il cinema, ma la musica alla fine prevaleva sempre. La moglie, Franca Gandolfi, mi ha per esempio raccontato che la sera che vinse il Festival di Sanremo con “Nel blu dipinto di blu”, Domenico le disse: “Mi sa che mi tocca cantare per tutta la vita”. E lo disse con una punta d’amarezza, sapendo che la musica l’avrebbe allontanato dal cinema”.
- Cosa ti ha lasciato il personaggio Domenico Modugno?
“Mi ha lasciato un’eredità importante, enorme. Ogni giorno che passa capisco sempre di più che la gente vede in me lui.
- Ma come ti sei accostato a questo personaggio così importante?
“Ho fatto semplicemente il mio mestiere e l’ho fatto con tante paure, senza le quali, devo dire, non avrei ottenuto questi risultati. Avevo paura di non essere all’altezza. Eppure guardandomi allo specchio mi dicevo: “Beppe, solo tu puoi interpretare questo personaggio, ma poi davanti agli altri, volevo fuggire a questa responsabilità”.
- Cosa ti ha convinto alla fine a dire sì?
“Ho preso un video di Domenico Modugno che cantava e al posto della sua voce ho inserito la mia. Poi ho fatto vedere quel video alla signora Franca e le ho chiesto cosa notasse. Lei mi ha risposto: “Nulla di particolare”. Ecco, questo per me è stato un segno molto importante, che mi ha dato il coraggio di andare avanti. In caso contrario, ero pronto ad abbandonare le riprese.
- La tua interpretazione di Domenico Modugno è stata così riuscita che non hai mai avuto paura di rimanere imprigionato in questo personaggio?
“Certo, il rischio di essere etichettati c’è sempre, ma non era questo il caso perché si trattava di una miniserie che andava in onda in sole due serate e tutto finiva lì. Ovviamente per strada le persone mi fermano, mi dicono che sono stato bravo, ma sento anche che vogliono altro.
- E cosa hai in serbo per loro?
“Ho finito di girare, sempre per Rai 1, un tv movie intitolato “L’oro di Scampia”, dove l’oro si può scrivere con l’apostrofo o senza, tutto unito. Nel primo caso si fa riferimento all’oro nel judo vinto da un ragazzo di Scampia - e questa è la storia raccontata – alle Olimpiadi di Sidney del 2000. Ma “Loro” può anche far riferimento a tutte quelle persone oneste di Scampia, e sono tante, che vivono in quel contesto ma non sono camorriste.
- Altri progetti?
“Il prossimo autunno partirò in tournée con uno spettacolo teatrale intitolato “Penso che un sogno così”, che racconta la storia di Modugno e quella di tanti ragazzi del Sud che partono con un sogno nella valigia. Quella che racconterò a teatro sarà insomma la storia di Modugno, ma anche di mio padre. Sarà la mia storia, quella di mio fratello e di tante altre persone”.
- Beppe, quanto sei legato a questo angolo di Sicilia?
“Il legame con questo territorio è storico. A Marzamemi ci venivo da giovane con la vespetta 50 per fare i bagni perché sapevo che qui non c’era quasi nessuno. Qui, allora, si viveva una situazione di isolamento, quasi hippy. Sono cresciuto in questo posto che mi ha sempre affascinato perché ha un sapore molto antico. Sono luoghi bellissimi che, come molti altri, fino agli anni Novanta sono stati abbandonati, usurpati. Adesso, però, si avverte un bel processo di recupero intellettuale, ambientale. Qualche scempio si è abbattuto per dare vita a realtà migliori e si registra sempre un maggiore interesse, anche dall’estero, che qui vuole investire. Certo, alcuni danni rimarranno, ma avverto l’esistenza di una nuova generazione che, a differenza di noi giovani degli anni Ottanta, vuole ritornare alle origini. I ragazzi siciliani hanno capito che questa terra ha una storia straordinaria, unica al mondo, e la vogliamo recuperare. Noi, invece, ci siamo semplicemente accontentati di quello che ci davano.
- Quanto sono importanti, secondo te, manifestazioni come il Cinema di Frontiera?
“Questo Festival dimostra che con la cultura si può mangiare. Una serata come questa è infatti ben diversa da una qualsiasi, perché c’è un movimento economico, turistico, culturale diverso. Senza contare poi l’elevato contenuto di questa manifestazione dal grande valore sociale ma non bacchettona. Questo è un Festival tenace, emotivo, di frontiera. E sono davvero contentissimo di essere qui, seppur in maniera improvvisa”.